MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO

MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO

[405] 1943: MONTEBELLO SOTTO ASSEDIO
La grande fossa anticarro e la lotta per sopravvivere

Nel cuore dell’inverno del 1943-44, l’Italia settentrionale era avvolta in un’atmosfera di gelo e terrore. La guerra, che ormai devastava l’Europa da anni, si era insinuata anche nei piccoli centri abitati, trasformando la quotidianitΓ  in un susseguirsi di privazioni e paura. Montebello, un tranquillo comune veneto, divenne il teatro di un dramma umano quando le truppe tedesche intensificarono la loro presenza.
In tutto il Nord Italia, le risorse scarseggiavano e i bombardamenti degli Alleati aumentavano di intensitΓ , colpendo le infrastrutture strategiche per rallentare l’avanzata nemica. A Montebello, i ponti sul torrente GuΓ , cruciali per i movimenti militari, erano spesso bersaglio degli attacchi aerei, e i genieri dell’Organizzazione Todt lavoravano incessantemente per ripararli. La popolazione, ormai stremata, viveva con l’ansia costante di un’esplosione improvvisa o di un rastrellamento notturno.
L’estate del 1944 portava con sΓ© non solo il caldo torrido, ma anche l’angoscia di un conflitto che si avvicinava sempre piΓΉ. Gli Alleati avanzavano lentamente verso il nord, mentre le forze naziste si preparavano a resistere con ogni mezzo possibile. Montebello, per la sua posizione strategica, era destinato a diventare un punto chiave nella difesa tedesca. L’atmosfera era carica di tensione, e ogni giorno sembrava piΓΉ pesante del precedente.
Fu in questo contesto che giunse la notizia devastante: la mobilitazione civile forzata. Una domenica di metΓ  agosto, mentre i fedeli uscivano dalla Messa delle dieci, trovavano ad attenderli un ordine terribile. Manifesti affissi nella piazza del Municipio annunciavano che tutti i cittadini dai 18 ai 60 anni per le donne, e fino ai 65 per gli uomini, dovevano presentarsi il giorno seguente all’alba, armati di pala e piccone.
LunedΓ¬ mattina, la piazza del Municipio era gremita di persone. Il comando tedesco, con la precisione che lo caratterizzava, aveva preparato una lista di nomi fornita dall’ufficio anagrafe. Non c’era modo di sottrarsi a quell’obbligo: chi non si fosse presentato avrebbe rischiato la deportazione in un campo di concentramento o, peggio, l’esecuzione sommaria.
Tra i convocati c’erano uomini e donne di ogni estrazione sociale. Perfino i sacerdoti, solitamente rispettati e lasciati in pace, erano stati costretti a partecipare, insieme a medici e impiegati comunali. Quella che doveva essere una normale giornata estiva si trasformava in una marcia forzata verso il ponte sul Chiampo, sotto il sole cocente e la sorveglianza dei soldati tedeschi armati.
Il compito assegnato ai montebellani era chiaro: scavare una grande fossa anticarro, un’opera monumentale destinata a rallentare l’avanzata delle truppe alleate. La fossa, lunga dieci chilometri e larga fino a cinque metri, doveva correre dal ponte sul Chiampo fino alle colline di Sarego, tagliando in due la campagna veneta. Era una missione disperata, un ultimo tentativo da parte dei tedeschi di guadagnare tempo mentre le loro forze si ritiravano verso le Alpi, dove speravano di organizzare una difesa finale.
Ogni giorno, sotto la supervisione della Todt, oltre mille persone lavoravano senza sosta, sfidando la fatica e il caldo soffocante. I meno giovani, soprattutto, faticavano a reggere il ritmo, ma l’alternativa era impensabile. I soldati tedeschi vigilavano attentamente, pronti a intervenire con la forza se il lavoro non fosse stato portato avanti con sufficiente rapiditΓ .
Per molti, il lavoro forzato era una condanna, ma anche un modo per sopravvivere. La Todt pagava coloro che lavoravano nella fossa, e sebbene le voci dicessero che il denaro distribuito fosse falso, quelle lire rappresentavano comunque una possibilitΓ  di acquistare il poco cibo disponibile. Ogni settimana, i lavoratori si radunavano per ricevere la loro paga, una cerimonia tanto assurda quanto necessaria in quel contesto di guerra.
Remo Schiavo, classe 1928, che in quel periodo lavorava a Montebello, racconta: Β« C’erano i soldi, io prendevo 40 lire al giorno, mio padre 60. Ci pagavano ogni settimana o dieci giorni. Con quella cifra potevamo comprare un chilo di carne […] ci pagavano con banconote nuove, si diceva che erano false e che i tedeschi se le stampavano. Ci pagavano in cortile, c’era un banchetto con un pagatore, una segretaria e un sorvegliante… Β».
Nonostante la brutalitΓ  della situazione, gli abitanti di Montebello non si lasciarono sopraffare. Seppur costretti a lavorare per il nemico, trovarono modi per resistere. Alcuni rallentavano deliberatamente il lavoro, sperando di sabotare, anche se in minima parte, il progetto tedesco. Altri cercavano di mantenere alto il morale, raccontandosi storie di speranza durante le brevi pause.
Questa resistenza passiva era forse l’unica arma rimasta a una popolazione stremata. Non c’erano armi da impugnare, nΓ© fortificazioni da difendere, ma c’era la determinazione a non cedere del tutto alla disperazione. Ogni gesto, ogni parola scambiata, diventava un atto di ribellione silenziosa contro l’occupante.
La grande fossa anticarro di Montebello non riuscΓ¬ a fermare l’avanzata degli Alleati, ma il suo significato va oltre la sua funzione militare. Essa rappresenta un monumento alla resilienza di una comunitΓ  che, nonostante tutto, riuscΓ¬ a mantenere la propria umanitΓ  in mezzo alla disumanitΓ  della guerra. I giorni di lavoro forzato sotto il sole rovente, sorvegliati da soldati armati, sono rimasti impressi nella memoria collettiva di Montebello, un ricordo doloroso ma anche una testimonianza di coraggio.
Alla fine, l’occupazione tedesca si concluse con la ritirata delle truppe e l’arrivo delle forze alleate. La fossa anticarro rimase come un segno indelebile del passaggio della guerra, ma anche come simbolo della capacitΓ  di resistenza di un popolo. Il ricordo di quei giorni continua a vivere nelle storie tramandate, non solo come memoria di sofferenza, ma anche come testimonianza di una forza d’animo che ha permesso a Montebello di sopravvivere agli orrori del conflitto.

Umberto Ravagnani

FOTO: Scavo del fossato anti-carro durante l’inverno 1943-44.
BIBLIOGRAFIA
: P. Savegnago, Le organizzazioni Todt e Poll in provincia di Vicenza, Padova, 2012.
A.Maggio – L.Mistrorigo, “Montebello Novecento“, 1997.

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2 commenti

    1. Non abbiamo la mappa disponibile. Comunque, il percorso era questo: dal ponte Nuovo (Fracanzana) si dirigeva verso Monticello di Fara e passava poco a sud della Villa Favorita, proseguiva verso Meledo fino alla localitΓ  Campagnola. Per un chilometro coincideva con il torrente GuΓ  verso Sarego e 250 metri a sud del ponte Massina, il vallo abbandonava il GuΓ  ed entrava nel parco di villa Boroni (denominata Ca’ Manzoni).

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