Categoria: <span>TUTTE LE ATTIVITÀ 2015</span>

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21 Dicembre 2015:  LA MATERNITA’ NELL’ARTE CIPRIOTA

 

CIPRO

Cipro è la terza isola per estensione (dopo Sicilia e Sardegna) del Mar Mediterraneo, Stato membro dell’Unione europea dal 1º maggio 2004. È situata a sud della penisola anatolica (70 km), a breve distanza dalle coste del Vicino Oriente (100 km) e 500 km a nord dell’Egitto, e confina con il territorio conteso della Repubblica Turca di Cipro Nord e il Regno Unito per Akrotiri e Dhekelia. La Repubblica di Cipro estende la sua sovranità su tutta l’isola di Cipro e sulle acque circostanti, tranne che su due piccole aree, Akrotiri e Dhekelia che, al momento dell’indipendenza, sono state assegnate al Regno Unito come basi militari sovrane. Cipro è tuttavia divisa de facto in due parti separate dalla cosiddetta linea verde: l’area sotto il controllo effettivo della Repubblica di Cipro, che comprende circa il 59% della superficie dell’isola, e la zona turco-cipriota nel nord, che si autodefinisce Repubblica Turca di Cipro del Nord, che copre circa il 36% della superficie dell’isola ed è riconosciuta dalla sola Turchia. Il 16 agosto 1960 il Trattato di Zurigo e Londra consentiva la nascita a Cipro di una repubblica presidenziale libera e indipendente. Veniva stabilito anche il diritto di Grecia, Regno Unito e Turchia di intraprendere azioni, sia congiuntamente che disgiuntamente, in caso di modifica della situazione di Cipro così come regolarizzata ai tempi del trattato. Il colpo di Stato militare in Grecia che instaurò il cosiddetto “regime dei colonnelli”, favorì la realizzazione di un golpe militare anche a Cipro, mirante all’attuazione dell’agognata Enosis (Unione) con la madrepatria greca, in totale contrasto però col Trattato di Zurigo e con la concreta minaccia ai diritti della minoritaria comunità turca dell’isola. La Turchia – all’epoca governata da Bülent Ecevit, di orientamento ideologico laico e socialdemocratico – decise allora d’intervenire con le sue forze armate, avviando l’Operazione Atilla col fine di salvaguardare la minoranza turca. La superiorità del suo apparato bellico (che s’impadronì di un territorio assai più ampio di quello riservato storicamente alla comunità turco-cipriota) e la mancata replica delle forze armate greche (che comportò tra l’altro il crollo del regime dittatoriale militare) portò a una situazione di stallo tra le due comunità greco-cipriota e turco-cipriota, fattore di dissenso profondo e di grave ostacolo verso un’effettiva pacificazione dell’isola e verso un suo equo riassetto territoriale (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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20 Novembre 2015:  IL PROF.  LUIGI ZONIN PRESENTA IL SUO LIBRO “SE IL VINO E’ PANE”

 

Ho sempre immaginato che a Gambellara il vino fosse qualcosa di speciale e fuori dal comune, che potesse essere anche cibo, medicina, trasgressione, lavoro, schei, pane … lo fu dal Medioevo per generazioni di contadini cresciuti in mezzo alle viti schiave e alle garganeghe del Monte, segnati sul volto e sulla pelle dai lavori stagionali, dalle carestie o dalla peste, ma anche benedetti da una natura singolare e da un vino profumato e delicato. Il calendario della mia infanzia veniva scandito dai lavori del ciclo del vino, che occupavano quelli di casa mia per gran parte delle stagioni; c’erano anche altre attività che animavano allora contrà S. Marco, come i cavalieri e i morari, l’erbaspagna, la sparesara, il frumento e la mietitura, il sorgo da zappare, il tabacco, la stalla ed il filò con le storie seducenti raccontate nella penombra tra giochi, chiacchiere e terzetto (rosario) nelle sere invernali; ma sopra tutto questo c’era la presenza intrigante delle viti e della cantina che in ogni momento dell’anno coinvolgeva bambini, vecchi e adulti. Ci addormentavamo con le orazioni fissando i picai di garganega appesi sopra i nostri sogni e ci svegliavamo all’avemaria con i grappoli intoccabili, destinati al Recioto e al vin Santo, che si muovevano appena sulle nostre teste; ci aspettava la scuola, per gli altri di casa c’era la potatura, bisognava preparare le stroppe, raccogliere la legna, far la punta ai pali, curare le bestie, travasare il vino, portare il “toga” degli scavi sotto le pergole del monte e sbrigare mille altre faccende proprie di quel mondo contadino scomparso. Di mattina la scuola comunale (passando per la chiesa) era tutto il nostro mondo e mai nulla ci avrebbe consentito di disertarla, neanche il giorno eccitante del mas’cio, della festa di S. Lucia o della mosta solenne dei picai; i pomeriggi erano un’altra cosa e tutti quanti si davano un gran daffare con piccoli lavori nella stalla, a togliere la corteccia dalle sgreve (i pali di acacia o di castagno destinati alle testate del vigneto), a dare una mano al monte o in campagna, sollecitati dai rimproveri di zia Giustina appena accennavamo ad interromperli per qualche gioco di stagione più allettante. Ho sempre pensato che il vino a Gambellara fosse prezioso come il pane quotidiano, convincimento che è fuori di ogni dubbio, anche se in Campagna comune (la pianura) o sul monte (la collina) il frumento con gli altri grani “minori” rappresentò una coltura importante ed insostituibile per la povera economia di sussistenza dei nostri contadini; ma fino ad anni recenti era attorno all’uva e al vigneto che si svolgeva la vita di tante famiglie, cadenzata da un anno all’altro dai lavori incessanti e senza respiro richiesti dal vigneto e dalla caneva: la potatura, la raccolta della legna, la vangatura e zappatura delle pergole in tempo per i primi trattamenti con zolfo e verderame; e poi, mese dopo mese, gli stessi cicli fino alla vendemmia, la mosta, i travasi, il torcolo, le graspe, i vinaccioli stesi al sole ad asciugare sulle “scalette” della chiesa (per l’olio) e, dopo la raccolta delle olive, di nuovo la potatura e la terra degli “scavi” sotto le pergole del monte. Era una spirale frenetica di lavori interminabili, intersecati da quelli non meno gravosi della pianura (per il frumento, il tabacco, il fieno, la mietitura), che s’incrociavano con le feste religiose e le calamità meteorologiche come la siccità e le grandinate estive, con l’ancestrale paura di perdere i raccolti. Ricordo con rimpianto la mia prima adolescenza, quando in collegio confrontavo la mia esperienza di campagna con quella dei miei compagni: non ho mai incontrato nessuno che mi raccontasse una vita contadina così intensa; certo il sorgo o il tabacco della bassa, il frumento, il fieno o le pergole di clinto occupavano moltissimo le famiglie dei miei coetanei, prese anche loro dalle fatiche della stalla, dai cavalieri, dai problemi dell’irrigazione o dai lavori stagionali, ma nessuno poteva competere con quelli che raccontavo io indicandoli con una punta d ‘orgoglio e con qualche competenza, lasciando intravedere tuttavia quanta fatica ci fosse dentro un buon bicchiere di vino di qualità (dalla Presentazione del libro “Se il vino è pane” di Luigi Zonin).

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8 Novembre 2015:  GITA SOCIALE IN VALPOLICELLA – GROTTA DI FUMANE – PIEVE DI SAN FLORIANO

 

Il Riparo Solinas, attualmente noto come Grotta di Fumane, fu scoperto nel 1962 da Giovanni Solinas con il figlio Alberto Solinas, entrambi appassionati e studiosi della Paleontologia e della Preistoria locale. Il Riparo, noto agli abitanti della zona come “Gli Osi” per via dei numerosi reperti che si trovavano, fu abitato per un lunghissimo periodo che va da circa 60.000 anni fa con presenze dell’Homo neanderthalensis (Uomo di Neanderthal), dall’Homo sapiens dell’Aurignaziano, circa 34.000 a 32.000 anni fa fino al crollo della grotta che si presume risalga a 25.000 anni fa conseguenza ed effetto di una glaciazione. Viene considerato da molti il sito più importante in Europa per il lungo periodo di utilizzo e per caratteristiche proprie. Si unisce ad un sistema di presenze preistoriche nel nord veronese che ha le più ampie ed importanti ed accessibili nel Riparo Soman, Riparo Tagliente nel Covolo di Camposilvano, nel sistema di grotte ai piedi del Ponte di Veja, nel Castelliere delle Guaite e in una miriade di presenze minori, frequentabili e documentate. (da Wikipedia)

La Grotta di Fumane è uno dei maggiori siti archeologici preistorici d’Europa. Le ricche testimonianze conservate nei depositi di riempimento di questa cavità, oggetto di ricerche promosse nel 1988 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, dall’Università di Ferrara, dall’Università di Milano e dal Museo Civico di Storia Naturale di Verona, rappresentano un eccezionale documento delle frequentazioni dell’Uomo di Neandertal e dei primi Uomini Moderni. Questo giacimento è fondamentale per studiare il modo di vita, l’economia, la tecnologia e la spiritualità dei rappresentanti di un’umanità del passato che frequentarono la Valpolicella per oltre 50.000 anni, ma anche per comprendere i meccanismi che hanno portato, attorno a 40.000 anni fa, all’affermazione degli Uomini Moderni in Europa. Dal 2005 la Grotta è accessibile ai visitatori del Parco della Lessinia attraverso un suggestivo percorso che permette di esaminare le sezioni stratigrafiche e riconoscere le tracce degli abitati paleolitici.

La Pieve di San Floriano

La pieve di San Floriano è un’antica pieve situata nel comune di San Pietro in Cariano, nella frazione di San Floriano, nel cuore della Valpolicella. È considerata una delle più belle chiese romaniche della provincia di Verona Documenti storici menzionano la sua esistenza già a partire dall’anno 905, anche se l’edificio attuale risale al XII secolo. La pieve è stata edificata sul luogo dove prima sorgeva un cimitero pagano, come testimonia il numeroso impiego di marmi e pietre romane, fra cui due grandi cippi funebri. Altri resti d’are funerarie si trovano nel vialetto a fianco della chiesa, verso la strada provinciale. In alcuni documenti risalenti ai secoli XI e XII si può venire a conoscenza che la sua giurisdizione ecclesiastica copriva i territori che oggi rappresentano i comuni di Marano, San Pietro in Cariano, Fumane e Pescantina. Era infatti a capo di uno dei tre piovadenghi in cui era diviso amministrativamente il territorio della Valpolicella. Gli altri erano relativi alla pieve di San Giorgio e alla pieve di Negrar.

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11 Ottobre 2015:  EXPO 2015 – MILANO

 

Il tema scelto per l’Esposizione Universale di Milano 2015 è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Sono chiamate in causa le tecnologie, l’innovazione, la cultura, le tradizioni e la creatività legati al settore dell’alimentazione e del cibo. L’asse principale è il diritto inalienabile ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra. La preoccupazione per la qualità del cibo in un mondo sempre più popolato (si calcola che nel 2050 gli abitanti della Terra saranno 9 miliardi) si accompagna a scenari di un aumento dei rischi per la quantità globale dei cibi disponibili in virtù dello sfruttamento intensivo e non sostenibile delle risorse naturali del pianeta. Alcuni dei temi principali che ruotano attorno alla Expo sono: rafforzare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, cioè la sicurezza di avere cibo a sufficienza per vivere e la certezza di consumare cibo sano e acqua potabile; assicurare un’alimentazione sana e di qualità a tutti gli esseri umani per eliminare fame, sete, mortalità infantile e malnutrizione; prevenire le nuove grandi malattie sociali della nostra epoca, dall’obesità alle patologie cardiovascolari, dai tumori alle epidemie più diffuse, valorizzando le pratiche che permettono la soluzione di queste malattie; innovare con la ricerca, la tecnologia e l’impresa l’intera filiera alimentare, per migliorare le caratteristiche nutritive dei prodotti, la loro conservazione e distribuzione; educare a una corretta alimentazione per favorire nuovi stili di vita, in particolare per i bambini, gli adolescenti, i diversamente abili e gli anziani; valorizzare la conoscenza delle “tradizioni alimentari” come elementi culturali ed etnici. preservare la bio-diversità, rispettare l’ambiente in quanto eco-sistema dell’agricoltura, tutelare la qualità e la sicurezza del cibo, educare alla nutrizione per la salute e il benessere della persona; individuare strumenti migliori di controllo e di innovazione, a partire dalle biotecnologie che non rappresentano una minaccia per l’ambiente e la salute, per garantire la disponibilità di cibo nutriente e sano e di acqua potabile e per l’irrigazione; assicurare nuove fonti alimentari nelle aree del mondo dove l’agricoltura non è sviluppata o è minacciata dalla desertificazione dei terreni e delle foreste, delle siccità e dalle carestie, dall’impoverimento ittico dei fiumi e dei mari. il land grabbing, ovvero l’accaparramento su larga scala di terreni agricoli in paesi in via di sviluppo. Questo tema non è trattato nella Carta di Milano. Carta di Milano Nei mesi precedenti all’Expo, è stato preparato un documento, la Carta di Milano, che elenca i principi e gli obiettivi dei firmatari riguardo al tema della nutrizione, della sostenibilità ambientale e dei diritti umani. Al termine dell’esposizione, questo documento verrà consegnato all’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU).

PADIGLIONI TEMATICI

All’interno del sito sono presenti quattro aree o padiglioni tematici ai quali va aggiunto un padiglione urbano ospitato alla Triennale di Milano. Queste aree sviluppano i temi della nutrizione e della sostenibilità secondo differenti ambiti: l’esperienza del cibo e il futuro, il legame tra la nutrizione e l’infanzia, la possibilità di un cibo sostenibile, il rapporto tra il cibo e l’arte, la modalità di produzione del cibo. Padiglione Zero – Situato all’estremità ovest del sito, funge da portale d’accesso e introduzione alla visita. Ospita il contributo delle Nazioni Unite e la Best Practice Area, ovvero la raccolta delle migliori esperienze ed esempi sul tema della nutrizione. Quest’ultima vede la presenza di 15 Best Sustainable Development Practices on Food Security (BSDP – “Migliori esperienze di sviluppo sostenibile nell’ambito della sicurezza alimentare”). In particolare sono state selezionate le migliori esperienze in ambito: gestione sostenibile delle risorse naturali aumento della quantità e miglioramento della qualità dei prodotti dell’agricoltura dinamiche socio-economiche e mercati globali sviluppo sostenibile delle piccole comunità rurali modelli di consumo alimentare: dieta, ambiente, società, economia e salute Parco della Biodiversità – Un grande giardino di circa 8 500 m² posto nell’area Nord e adiacente alla Lake Arena, finalizzato alla riproduzione della varietà della Vita. Include un teatro e due padiglioni. Future Food District (“Il distretto del cibo del futuro”) – Si compone di un padiglione di 2.500 metri quadri (Supermarket) e di una piazza pubblica di 4.500 metri quadri su cui insiste un’altra struttura (Exhibition Area). Posto nella zona sud, di fronte all’anfiteatro, tratta il tema dell’evoluzione della filiera alimentare con largo uso delle tecnologie IT e prototipi di luoghi del futuro quali una casa, un ristorante ed un supermercato, ma anche una Vertical Farm e una Algae Urban Farm. Children Park (“Parco dei bambini”) – Realizzato in collaborazione con la città di Reggio Emilia, occupa un’area esterna al perimetro del canale ed è pensata come area ludica, ricreativa ed educativa per bambini e famiglie. Arts & Foods (“Arti e Cibi”) – Un’area tematica urbana ospitata nei locali della Triennale di Milano che vuole esplorare investigare il multiforme campo di relazione fra l’arte e l’alimentazione: dalla pittura alla scultura, dal video all’installazione, dalla fotografia alla pubblicità, dal design al cinema. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera – Foto U. Ravagnani)

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4 Ottobre 2015:  MUSEO DI ESTE

 

MUSEO ARCHEOLOGICO DI ESTE
Il Museo Nazionale Atestino in Provincia di Padova apre le sue porte alla conoscenza dei reperti archeologici scavati in Este e nel territorio circostante. Grazie alle ricche informazioni fornite dagli antichi manufatti e dai dati di scavo, è possibile ricostruire la storia del popolamento umano fin dal paleolitico, passando per il mesolitico, il neolitico, l’età del bronzo, l’età del ferro, soprattutto la civiltà dei Veneti antichi, l’epoca romana, per concludere con il medioevo.

Undici sale allestite in ordine cronologico e tematico che possono trasformarsi in un appassionante luogo di studio.

Il Museo Archeologico di Este è la porta d’accesso ad un mondo lontano e a molti sconosciuto, quello dei Veneti antichi, che appartiene alla nostra comunità e ci fa ripercorrere le nostre origini.

Nella sede museale sono ospitati i materiali archeologici più rappresentativi della cultura dei Veneti antichi, vissuti in questa regione durante tutto il I millennio a. C.: attraverso questi il visitatore potrà scoprire l’evoluzione di un’antica civiltà italica dedita a floride attività artigianali e mercantili.
La sezione romana illustra la trasformazione della città di Ateste, tra il I secolo a. C. e il II secolo d. C., mentre una piccola sezione è dedicata alla ceramica medievale, rinascimentale e moderna. (Nella foto a fianco: Situla Benvenuti)

MONTAGNANA
Oltre che per lo straordinario complesso fortificato, la città si fa apprezzare per il tessuto urbano, fatto di vie e di edifici sorti in periodo rinascimentale e, parte, durante la ripresa economica del XIX secolo.

Sulla grande piazza centrale, si protende il Duomo (1431-1502), dalle imponenti forme tardo-gotiche con aggiunte rinascimentali. All’interno si possono ammirare: la Trasfigurazione di Paolo Veronese, tre tavole di Giovanni Buonconsiglio detto il Marescalco (XVI secolo), una grande tela votiva di notevole valore documentale riproducente la battaglia di Lepanto (1571). Le pareti sono ornate di raffinate decorazioni e di affreschi, tra i quali, notevolissimi, quello del catino absidale del Buonconsiglio, e, ai lati dell’ingresso, la Giuditta e il David, recentemente attribuiti al Giorgione.

Sempre sulla piazza, si affaccia l’elegante palazzo Valeri e l’antico Monte di Pietà. In via Matteotti sta il palazzo Magnavin-Foratti, in raffinato stile gotico-veneziano, che si dice sia stata la residenza di Jacopa, moglie del condottiero Erasmo da Narni detto il Gattamelata.

In via Carrarese si trova il Municipio, opera attribuita all’architetto veronese Michele Sanmicheli (1538). In via Scaligera vi è la chiesa tardo-romanica di San Francesco, con attiguo monastero delle Clarisse; in via San Benedetto si affaccia l’omonima chiesa barocca (in corso di restauro). Subito fuori dell’abitato, a ridosso di porta Padova, vi è la villa Pisani, uno dei capolavori di Palladio, che all’interno conserva statue di Alessandro Vittoria (1525-1608). Da segnalare, in via dei Montagnana, l’antico ospedale di Santa Maria con un affresco di Giovanni Buonconsiglio e, nell’omonima via, la chiesetta di Sant’Antonio Abate, con tracce di presenza templare. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

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12-13 Settembre 2015:  SIENA

 

SIENA E LE SUE MERAVIGLIE – MONUMENTI STORICI: La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta è il principale luogo di culto cattolico di Siena, in Toscana, sede vescovile dell’arcidiocesi metropolitana di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino; l’edificio è situato nell’omonima piazza. Costruita in stile romano-gotico italiano, è una delle più significative chiese realizzate in questo stile in Italia. Scarse e incerte sono le notizie prima del dicembre 1226, mese in cui la Repubblica di Siena comincia le registrazioni presso gli uffici della Biccherna (uffici delle uscite) dei costi e dei contratti relativi alla costruzione e decorazione della cattedrale. Il nuovo edificio sembra comunque iniziato a metà del XII secolo su un edificio preesistente, forse del IX secolo, a sua volta edificato su un ipotetico tempio di Minerva. Nell’alto medioevo qui si trovava infatti la costruzione che sarebbe stata, fino al 913, la residenza del vescovo e avrebbe contenuto una chiesa rivolta verso est, cioè verso l’attuale battistero. Solo nel XIII secolo il Duomo sarebbe stato trasformato in basilica, con la facciata rivolta ad ovest, cioè verso l’ospedale di Santa Maria della Scala, ma i lavori vennero terminati solo alla fine del secolo successivo. Secondo la tradizione, la consacrazione della nuova cattedrale avvenne il 18 novembre 1179, alla presenza del papa di origine senese Alessandro III: a ricordo di tale evento ancora oggi il 18 novembre di ogni anno si espone lo stendardo papale nel presbiterio. I lavori comunque erano tutt’altro che compiuti e dal 1196 venne preposta una speciale deputazione di cittadini, l’Opera di Santa Maria, che dal 1238 al 1285 fu amministrata dai monaci di San Galgano. Nel 1227 la biccherna della Repubblica registra una serie di pagamenti per marmi bianchi e neri. Nel 1259 vengono registrati pagamenti per gli arredi del coro, mentre nel 1263 vengono acquistati del piombo per la copertura della cupola e pagato il Rosso padellaio per la mela di rame che fu collocata in cima alla cupola. La sua altezza è di 48 metri, inclusa la croce (l’attuale sistemazione dell’apice della cupola stessa è del 1667). Questi dati mostrano che entro il 1263 il coro, esagono centrale e cupola della basilica attuale erano già stati edificati. Copie moderne di fonti imprecisate indicano date tra il 1280 e il 1284 per il completamento del corpo longitudinale (navate). Una cronaca trecentesca anonima indica il 1284 come l’anno della posa della prima pietra della facciata, mentre altri documenti del governo testimoniano che dal 1284 al 1297 circa Giovanni Pisano era al lavoro in qualità di capomastro per la costruzione della parte inferiore della facciata, poi completata da Camaino di Crescentino, padre dello scultore Tino di Camaino, tra il 1299 e il 1317 circa. Nel 1313 venne terminato il campanile, alto circa 77 metri. Tre cronache trecentesche, di cui una esiste solo in copia, testimoniano che nel maggio del 1317 la facciata fu terminata e che iniziarono lavori di ampliamento nella parte orientale, con l’aggiunta di due campate nel coro (reso possibile dalla creazione di un battistero sottostante il cui tetto fece da supporto al nuovo coro), di una terza navata nel transetto e di una campata per ciascuno dei due bracci del transetto. Fu anche innalzata la navata centrale per adeguarla alla facciata appena terminata. Nell’edificio attuale l’esagono sotto la cupola non è più il centro di simmetria della chiesa, come era invece prima di tale ampliamento. Tali lavori di ampliamento subirono una brusca interruzione nel 1339, allorché dovette sembrare, con Siena al massimo del suo splendore, che il duomo fosse troppo piccolo per la città: la popolazione e la ricchezza erano aumentate, espandendosi la vita comunale e maturando anche il desiderio di emulare Firenze e la sua nuova, gigantesca cattedrale. Si pensò quindi di ampliarlo in modo tale che l’attuale corpo longitudinale diventasse solo il transetto e la facciata orientata a sud, in posizione molto più avanzata rispetto all’antico edificio. Il progetto fu affidato a Lando di Pietro (o “di Piero”) dopo la delibera del Consiglio Generale della Campana del 23 agosto 1339. I lavori passarono già nel 1340 sotto la supervisione dello scultore ed architetto Giovanni di Agostino. A causa della peste del 1348 e di alcuni crolli strutturali, nel giugno del 1357 si decise di interrompere i lavori, lasciando nell’attuale piazza Iacopo della Quercia i segni del fallimento: basamenti per le colonne e incastonamenti di queste nell’edificio dell’attuale Museo dell’Opera Metropolitana del Duomo, oltre alla facciata incompiuta (il cosiddetto “facciatone”). Fallito il progetto del Duomo Nuovo, i senesi si rassegnarono a terminare la vecchia costruzione e, qualche anno dopo il 1357, i lavori ripresero sotto la direzione di Domenico di Agostino, fratello di Giovanni. Entro il 1370 i lavori erano terminati. Nel 1870 un incendio distrusse la cupola esterna in legno e parte della copertura lignea della navata che vennero ripristinate. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera – Foto U. Ravagnani)

( L. 164 )

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26 Luglio 2015:  CASONI DI CAORLE

 

CAORLE E I SUOI “CASONI”
Le radici di Caorle affondano nel 1° secolo a.C. (il nome deriva dal latino Caprulae, probabilmente a causa delle capre selvatiche che vi pascolavano) come testimoniano numerosi ritrovamenti di epoca romana. Ma verosimilmente fu abitata anche dai paleoveneti. La città diventa importante per la sua posizione alla foce del Limene soprattutto in seguito alle invasioni barbariche degli Unni che spinsero molti dall’entroterra alla costa. Nel VI secolo Caorle divenne sede vescovile e rimase tale fino al 1807. Nei secoli successivi le sorti di Caorle furono legate a quelle della Repubblica Serenissima. Nel 13° 14° secolo Caorle subì le invasioni dei triestini dei pirati e dei genovesi e molti abitanti si spostarono a Venezia. Inizia un lungo periodo di decadenza, aggravata dall’invasione napoleonica. Nel 19° secolo Caorle passò all’Austria e la cittadina perse definitivamente la sua importanza. Subì le devastazioni della 1a e 2a guerra mondiale e solo negli anni settanta la città scoprì la sua vocazione al turismo.

MONUMENTI STORICI – Di particolare interesse è il Duomo edificato nel 1038, sulle rovine di una precedente basilica. Al suo interno è conservata la “pala d’oro”, dono della regina di Cipro, e un “pietà” in legno dorato. Vi è annesso un piccolo museo parrocchiale. Ma il simbolo della città è il Campanile annesso al duomo la cui costruzione è di poco successiva al Duomo (forse 1070). Alto 48 metri, rotondo con bifore e fregi e con l’aguzza punta conica è molto simile all’albero maestro di un gigantesco veliero. Sulla costa si trova il Santuario della Madonna dell’Angelo.

I CASONI sono presenti fin dal 2° secolo d.C. e servivano ai pescatori come abitazione, rifugio e deposito delle reti e attrezzi da pesca. Sono situati in laguna, in luoghi sicuri, leggermente sopraelevati rispetto al livello del mare e delle maree. Possono essere isolati o in gruppo. Hanno la forma di una V rovesciata, sono costruiti con la canna palustre, facilmente reperibile in loco, hanno al centro il fogher e due finestre e una unica porta d’accesso, il pavimento è di solito in terra battuta. Sono abitazioni uniche nel loro genere. La laguna nella quale sono inseriti è un unicum di bellezza e rispetto della natura che l’uomo continua a salvaguardare.

( L. 101 )

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21 Giugno 2015: NOVEGNO – PRIAFORA’

 


MONTE NOVEGNO E PRIAFORA’

Nella prima quindicina del giugno 1916, il Novegno fu la chiave di volta dell’estremo schieramento italiano lungo la destra dell’Astico; resse all’urto conclusivo dell’11a Armata imperiale che, scavalcandolo, sarebbe sfociata nella pianura veneta precedendo la 3a Armata irretita sul vicino Altopiano dei Sette Comuni. In quei giorni, soprattutto fra il 12 e 13 giungo, fanti ed alpini della 35a divisione di fanteria al comando del magg. Carlo Petitti di Roreto, che aveva sostituito il discusso suo predecessore Felice De Chaurand de Saint Eustache, si batterono in maniera quasi sovrumana contro i Kaiserjager dell’8a divisione, il cui attacco era stato preceduto da una massiccia, pesante e micidiale azione di fuoco da parte dell’artiglieria, nettamente superiore per quantità e qualità a quella italiana. L’azione si concentrò contro Passo Campedello e M.Giove, ma alla fine a spuntarla furono i fanti della 35a, vanificando così l’attività offensiva della XI Armata dell’arciduca Eugenio e, in particolare, quella della 44a Divisione austroungarica al comando del generale Viktor Dankl. Veniva così arrestata, alle porte di Schio e sul limitare della pianura vicentina, la “strafexpedition”, operazione che probabilmente rappresentò la più grande battaglia che mai sia stata combattuta in montagna in un contesto che fu l’unico dell’intera fronte a subire ininterrottamente per tutti i quarantun mesi, le sorti di uno stato di belligeranza e divenendo teatro di alcune tra le più sanguinose battaglie combattute durante il conflitto. Sgomberato durante la notte del 24 giugno 1916, il Novegno fu interamente rioccupato dall’Esercito italiano, che negli anni successivi vi realizzò grandiose opere campali, sistemandovi artiglierie che, oltre ad esercitare azione offensiva sulle linee oltre il Posina, ne fecero un formidabile caposaldo in grado di sventare possibili ritorni offensivi. Sul “Letzeberg” l’ultimo monte, com’era stato chiamato dagli austriaci il Novegno, il terreno intorno alla conca, rivela tracce di quel tempo in cui hanno vissuto migliaia di uomini in armi: resti di strade, mulattiere, piazzole per baracche, postazioni di artiglieria, resti di un cimitero di guerra; segni dell’immane opera fortificatoria e difensiva realizzata in guerra senza risparmio di fatica, coi mezzi ancora rudimentali del tempo. Tutto ciò, fa del Novegno un grande laboratorio all’aperto per la conoscenza e lo studio della Grande Guerra. Qui più che altrove, le testimonianze, le ricerche, i documenti, trovano sul terreno il tangibile riscontro di opere, alcune delle quali sono da considerarsi veri capolavori dell’ingegneria militare. Sotto il profilo naturalistico il massiccio del Novegno offre eccezionali aspetti, magnifici esemplari di una fauna unica vivono in ampia simbiosi in un patrimonio floreale di pregio e degno di attenzione e cura.

( L. 92 )

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7 Giugno 2015:  SASSUOLO – MODENA

 


SASSUOLO (MO)
– Il Palazzo Ducale di Sassuolo fu trasformato da castello in magnifica Delizia, luogo ufficiale di villeggiatura e svaghi, a partire dal 1634 dall’architetto ducale Bartolomeo Avanzino, per volontà del duca Francesco I d’Este, colui che riportò agli antichi fasti il casato dopo la perdita di Ferrara nel 1598. La reggia che rappresenta un vero gioiello della cultura barocca dell’Italia settentrionale fu sontuosamente affrescata e decorata dal francese Jean Boulanger, pittore ufficiale della corte estense cui si affiancarono alcuni tra i maggiori pittori quadraturisti bolognesi come Angelo Michele Colonna e Agostino Militelli e un gran numero di abili decoratori e plasticatori, tra i quali Luca Colombi e Lattanzio Maschio, oltre a scenografi di fama come Gaspare Vigarani. Il recupero del Palazzo fino ad oggi raggiunto, frutto di un intenso lavoro di restauro e di allestimento museale, consente un utilizzo pieno dell’area decorata del piano nobile, stupefacente per le pitture e per le decorazioni plastiche. Al piano nobile si accede dallo Scalone d’Onore ed è possibile visitare 28 ambienti destinati ai membri della famiglia regnante a Modena: la Galleria di Bacco, l’appartamento del Duca, il Salone delle Guardie, l’Appartamento Stuccato, l’appartamento della Duchessa e, in parte, l’appartamento d’Orlando. Gli ultimi restauri hanno permesso di ritrovare le testimonianze sorprendenti del grande palazzo castellano, prima della trasformazione barocca, che fu di Borso e di Ercole I d’Este e poi, nel corso del cinquecento, della famiglia dei Pio di Savoia. In particolare, al piano terra, la Camera della Cancelleria, con le pitture di Domenico Carnevali e l’Appartamento dei Giganti con i cassettoni lignei con gli emblemi estensi e le cinquecentesche pitture con scudi araldici oltre alle decorazioni del sec. XVII di Sebastiano Sansoni e di Francesco Mattei. Grazie ai continui finanziamenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e alla collaborazione con l’Accademia Militare di Modena (che ha in custodia il prestigioso complesso), il Comune di Sassuolo e l’attività del Comitato per i restauri e la valorizzazione, è stato possibile il recupero dell’intera area decorata degli Appartamenti Ducali, della facciata orientale, della Peschiera, della chiesa di San Francesco e della piazza esterna.

MODENA – Il Duomo di Modena è tra i maggiori monumenti della cultura romanica in Europa, riconosciuto nel 1997 dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità, assieme alla sua torre Ghirlandina e all’adiacente Piazza Grande. Il Duomo fu fondato il 9 giugno del 1099 per iniziativa delle varie classi sociali cittadine, come affermazione dei valori civici, culturali e religiosi della nascente Comunità. Dedicato a S. Maria Assunta, custodisce le spoglie di S. Geminiano, Vescovo e patrono di Modena morto nel 397. Il sepolcro del Santo vi fu trasferito nel 1106 da una precedente cattedrale. La consacrazione avvenne nel 1184. L’architetto Lanfranco e lo scultore Wiligelmo realizzarono la cattedrale in una sintesi fra la cultura antica e la nuova arte lombarda, creando un modello fondamentale per la civiltà romanica. Dalla fine del 1100 sino al Trecento il cantiere fu proseguito dai Maestri Campionesi, scultori e architetti lombardi provenienti da Campione.

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17 Maggio 2015:  FELTRE – ANZU’

 

FELTRE (BL) – Centro principale del territorio feltrino è la città di Feltre (325 m), situata ad occidente del fiume Piave e alle pendici delle Dolomiti e, più in particolare, delle Vette Feltrine, chiusa a sud dal Monte Tomatico che domina imponente la Val Belluna. Attorno all’insediamento storico più antico della città, aggrappato sulle pendici di un colle (denominato “Colle delle Capre”), si sviluppano i quartieri più moderni.

Le origini e l’età romana Secondo Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, III,130), l’antica Feltria fu fondata dai Reti (oppido retico) con le città di Trento e di Verona. Discusso il toponimo: taluni lo avvicinano alla lingua etrusca (Felthuri, cioè città di Fel) osservando un’assonanza con Velhatre (Velletri). Gradualmente romanizzata, Feltria divenne municipium optimo jure e in età imperiale conobbe un notevole sviluppo economico ed urbanistico. Fondamentale la vicinanza all’importante Via Claudia Augusta, strada che da Altino, sulla Laguna Veneta, portava, attraverso Trento e il Brennero, fino ad Augusta Vindelicum (l’attuale Augusta, in Baviera). Con il tempo la città divenne importante sede di associazioni di fabri (artigiani), di centonari (addetti al riciclaggio di vesti usate e scarti di lavorazione della lana, le “centones” sono identificabili con l’attuale feltro che dal nome della città ebbe origine) e di dendrophori (boscaioli, artigiani, mercanti e trasportatori di legname). Nel tardo impero la diffusione del cristianesimo permise la fondazione della diocesi feltrina con una prima cattedrale. Si fa tradizionalmente risalire a San Prosdocimo di Padova l’evangelizzazione della zona.

Il Novecento – Il territorio feltrino fu un’importante zona operativa delle formazioni partigiane organizzate nel Battaglione “Zancanaro” della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci (Feltre). Molti feltrini pagarono con la propria vita la loro attività antifascista. Nella “Notte di Santa Marina” del 19 giugno 1944 furono uccisi il colonnello Angelo Giuseppe Zancanaro, il figlio Luciano, Pietro Vedrami, Roberto Colonna e Oldino De Paoli, e duramente malmenati presso il Seminario don Giulio Gaio e don Candido Fent. L’attività partigiana nel Feltrino è ben espressa dalle parole di un ufficiale delle SS: “Feltre è la città che più ci dà da fare di tutta la Provincia, dove l’opposizione all’autorità, e l’attività partigiana, sono più salde e decise”. Nel 1986 la diocesi di Feltre, nonostante gli accorati appelli del mondo laico e di quello religioso, fu unita alla diocesi di Belluno nella nuova circoscrizione ecclesiastica di Belluno-Feltre. Onorificenze Feltre è stata insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

ANZÙ (BL) – La Basilica Santuario dei SS. Vittore e Corona, arroccato su uno sperone roccioso, è un mirabile gioiello dell’arte romanica-veneta con evidenti influssi bizantini. E’ stata realizzata dal Conte di Giovanni da Vidor quale ex voto per il ritorno dalla prima crociata del 1096 ed è stata consacrata nel 1101 dal Vescovo Arpone. Santa Corona e San Vittore, martiri del II secolo, sono i protettori della Città di Feltre. I resti sono stati portati a Feltre dai Crociati di ritorno dalla Siria. La primitiva chiesa, come già detto, è stata edificata per volontà del crociato Giovanni da Vidor nell’XI secolo e successivamente ampliata a monastero con la costruzione di un bellissimo chiostro nel ‘400. E’ il monumento religioso più importante dell’area feltrina. Conserva preziosi affreschi di scuola giottesca. Il santuario si trova in straordinaria posizione panoramica proprio sopra la chiusa del Miesna che sbarra la strada che da Montebelluna conduce a Feltre, qualche chilometro prima di arrivare a Feltre.

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10 Maggio 2015:  VICENZA ROMANA

 

VICENZA

La visita guidata parte dall’osservazione della planimetria della città, la più tangibile testimonianza del suo passato romano. Corso Palladio, porzione interna della via Postumia, corrisponde infatti al decumano massimo e le altre strade del centro sono disposte perpendicolarmente a questo asse centrale. E’ possibile osservare il tipico basolato, pavimentazione stradale in pietra vulcanica, in un ambiente sottostante la cattedrale oppure vicino alla chiesa di San Lorenzo.

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25 Aprile 2015: MOSTRA FOTOGRAFICA ALLA CANTINA MENTI DI SELVA DI MONTEBELLO

 

MOSTRA FOTOGRAFICA SULLA SECONDA GUERRA MONDIALE

La mostra è intitolata al fatto d’arme del 29 aprile 1945 accaduto proprio nei vigneti a fianco della Cantina Menti e tratta il tema della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza nel nostro territorio vicentino ed in particolare di Montebello.

Programma:

Ore 14.00 Ritrovo nel Piazzale del Monumento ai Caduti e partenza a piedi per la Cantina Menti in Contrada Selva, 2A;
Ore 14.30 visita guidata alle tre croci che ricordano il tragico evento accaduto il 29 aprile 1945, poste sulla collina adiacente la Cantina Menti. Visita guidata della mostra fotografica. Seguirà un piccolo rinfresco con degustazione dei vini della Cantina Menti, offerto dall’Associazione Amici di Montebello.

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11 Aprile 2015: VICENZA – MOSTRA TUTHANKAMON CARAVAGGIO VAN GOGH

 

VICENZA

TUTANKHAMON CARAVAGGIO VAN GOGH”   Dal 24 dicembre 2014 al 2 giugno 2015 la Basilica Palladiana accoglie 113 opere dedicate al tema della notte provenienti da 30 musei internazionali. La mostra suddivisa in 6 sezioni tematiche che si sviluppano in 14 sale dedicate all’antico Egitto e ai capolavori dal Cinquecento al Novecento di Van Gogh, Caravaggio, Rembrandt, El Greco, Tiziano, Monet, Gauguin, Böcklin, Matisse, Munch, Cézanne, Bacon, Giordano, Rothko, Rubens, Turner, Friedrich, Corot, Klee, Millet e Hopper.

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Attività 2015

attività 2015

SALVIAMO IL POZZO DEI CONTI SANGIOVANNI
SALVIAMO VILLA MIARI

ASSOCIAZIONE AMICI di MONTEBELLO

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