E LA FEDE FERMÒ IL MORBO

E LA FEDE FERMÒ IL MORBO

[438] E LA FEDE FERMÒ IL MORBO
1792, l’anno in cui tutti a Montebello pregarono

Alla fine del Settecento, Montebello era un piccolo centro abitato dove la vita seguiva il ritmo costante dei campi, delle stagioni e delle campane. Gli abitanti erano legati alla loro terra e alle consuetudini religiose che da secoli ne accompagnavano l’esistenza. Ogni famiglia, ogni casa, ogni strada aveva una storia antica, tramandata con rispetto e parsimonia. In quella comunità raccolta, la fede occupava un posto naturale, concreto, quasi quotidiano. La Chiesa Prepositurale era il fulcro di questa presenza, e al suo interno, in una nicchia del secondo altare sulla destra, si trovava una statua molto cara a tutti.
La Madonna della Concezione era rappresentata seduta, avvolta da un manto dorato. Una corona le cingeva il capo. Sulle sue ginocchia, il Bambino, anch’egli incoronato, reggeva con la mano sinistra un globo sovrastato da una croce, mentre con la destra indicava le tre persone della Trinità. Maria portava in mano la corona del Rosario. Il volto della Vergine era sereno, lo sguardo basso, come assorto in una pace che ispirava quiete e fiducia. La figura, scolpita nel legno di tiglio, era tanto familiare ai montebellani da essere parte della loro identità collettiva. Nessuno sapeva chi l’avesse realizzata, né quando, con precisione. Si supponeva fosse opera del Quattrocento, forse creata su incarico della Congregazione di Santa Maria della Concezione, in seguito al decreto con cui papa Sisto IV aveva istituito nel 1476 la festa dedicata all’Immacolata.
Per secoli, la statua aveva raccolto preghiere, richieste, promesse. Ma nell’anno 1791, la sua presenza si era fatta assente. La vecchia Chiesa parrocchiale era stata demolita per essere sostituita con una nuova costruzione, e l’immagine sacra era stata rimossa e custodita temporaneamente in un locale secondario, accanto ai mantici dell’organo. Non era stata dimenticata, ma era stata posta da parte, fuori dallo sguardo quotidiano dei fedeli.
Fu proprio in quel periodo che Montebello si trovò a fronteggiare uno degli eventi più duri della sua storia. Era l’inizio dell’estate quando i primi casi di tifo si manifestarono. All’inizio si trattò di episodi isolati, poi la diffusione divenne rapida, inarrestabile. Le famiglie si ammalavano nel giro di pochi giorni, e molti non riuscivano a sopravvivere. L’epidemia colpì senza distinzioni. L’angoscia prese il sopravvento. Intere case si chiusero nel silenzio della malattia. Il rumore delle campane si fece costante, monotono, doloroso.
La paura si fece presto paralizzante. Pochi trovavano il coraggio di assistere gli ammalati. Mancava la forza, mancava la speranza. Il Collegio della Pubblica Sanità di Vicenza, allertato dalla gravità della situazione, inviò un medico per esaminare i contagi e suggerire soluzioni. Ma le conoscenze mediche del tempo erano limitate. Non c’erano cure efficaci. Si consigliava l’isolamento, qualche rimedio empirico, ma nulla fermava il corso del morbo. Le famiglie si spegnevano una dopo l’altra, mentre il paese sprofondava in una desolazione difficile da raccontare.
Nel mezzo di quel periodo oscuro, riemerse il ricordo della Madonna. Qualcuno, con voce sommessa, ricordò le grazie ricevute per sua intercessione. Si parlò della statua, da tempo messa da parte, che in passato aveva accompagnato momenti difficili con la sua presenza discreta e potente. Fu una memoria che si fece proposta: riportarla alla luce, pregarla, invocare il suo aiuto. Non un gesto magico, ma un appello condiviso, una forma di fiducia che superava la razionalità.
Quando la notizia si diffuse, la reazione della popolazione fu immediata. Non si trattò di un evento organizzato, ma di un moto spontaneo, collettivo. Nessuno restò indifferente. I montebellani decisero di rimettere la statua al centro della vita del paese. Il coro della nuova chiesa, recentemente costruito e da poco aperto al culto, fu scelto come luogo per l’esposizione. E così, il 12 maggio del 1792, l’antica immagine tornò a farsi vedere.
L’esposizione fu semplice, ma carica di significato. La statua, pur segnata dal tempo, conservava intatto il suo volto familiare. Chi entrava in chiesa riconosceva subito quel volto, quel gesto, quella compostezza. Tornò naturale inginocchiarsi, tornò naturale recitare il Rosario, affidare le proprie paure a quello sguardo calmo. I fedeli accorrevano uno dopo l’altro. Nessuno parlava ad alta voce. Le preghiere erano sussurrate, le lacrime trattenute. Ma la presenza era forte, tangibile.
La chiesa rimase aperta ininterrottamente. Giorno e notte si avvicendavano gruppi di devoti. Alcuni si fermavano per pochi minuti, altri restavano a lungo, in silenzio. Non c’era bisogno di parole. Bastava la presenza. La Madonna era tornata, ed era tornata proprio quando Montebello ne aveva più bisogno.
A partire da quel giorno, qualcosa cambiò. In modo graduale, ma netto. I contagi cominciarono a diminuire. I malati, uno dopo l’altro, iniziarono a guarire. Le famiglie smisero di contare i morti e cominciarono a rivedere i vivi. I medici non seppero spiegare l’accaduto. Ma la comunità non aveva bisogno di spiegazioni. Avevano pregato, avevano sperato, e la risposta era arrivata.
In breve tempo, l’epidemia cessò del tutto. I montebellani uscirono di casa, si riabbracciarono, ricominciarono a vivere. Era finita. In molti parlarono di miracolo. Altri preferirono non usare quella parola. Ma nessuno negò che quel ritorno aveva rappresentato una svolta. La memoria di quell’evento fu custodita con cura.
Francesco Bonomo*, cronista attento e preciso, annotò tutto in una cronaca dettagliata che oggi è conservata nell’archivio parrocchiale. È grazie a lui se oggi conosciamo la sequenza dei fatti, l’atmosfera di quei mesi, il senso profondo che ebbe la rinnovata esposizione della Madonna. La cronaca non ha toni enfatici, ma trasmette con chiarezza ciò che accadde.
Da quel momento, la statua tornò a occupare il suo posto nella chiesa prepositurale. Da allora, non è mai più stata spostata. È lì, al secondo altare a destra, visibile a tutti, visitabile ogni giorno. Nel 1885 fu sottoposta a un restauro, finanziato con le offerte del popolo e del clero, come segno di affetto e riconoscenza. Il restauro ne ha conservato le caratteristiche originarie, senza alterarne la semplicità.
Ogni cinque anni, Montebello ricorda quanto accadde con una celebrazione solenne: la Festa Quinquennale della Madonna. Non è solo una cerimonia religiosa, ma una memoria viva, un legame con ciò che la comunità ha vissuto e superato insieme. È la testimonianza di un legame profondo tra la popolazione e quella figura antica, che ha saputo dare conforto nei giorni più duri.
Nel maggio 2025, si celebrerà la ventottesima edizione di questa festa. Sarà, ancora una volta, un’occasione per rivedere la statua, rinnovare la preghiera, ricordare l’anno in cui Montebello ritrovò se stesso nel momento più difficile. E chi entrerà nella chiesa, si troverà davanti quello stesso sguardo calmo, la stessa mano sollevata, la stessa corona. E forse sentirà ancora, in quel silenzio, l’eco di quel giorno in cui la speranza tornò a camminare. UMBERTO RAVAGNANI

NOTA: * Francesco Bonomo morì il 15 febbraio 1830, nella stessa casa di Montebello dove nacque nel 1736. Uomo affabile e retto, per oltre quarant’anni fu cancelliere del paese, mantenendo equilibrio anche nei momenti più turbolenti. Più che un impiegato, fu custode della memoria: raccoglieva storie, tradizioni e scrisse un diario dettagliato durante le guerre napoleoniche. Parte dei suoi scritti è andata perduta, ma il cuore della storia locale porta ancora il suo nome.
FOTO: MONTEBELLO: La Madonna di Montebello durante la Solenne del 2015 (foto Umberto Ravagnani).
FONTE: Cronaca di Francesco Bonomo (Archivio Parrocchiale di Montebello).

Umberto Ravagnani

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