[437] IL VIALE DEGLI IPPOCASTANI

Montebello, alla vigilia della guerra, sembrava un paese sospeso tra il passato e il futuro, come se la sua anima oscillasse tra la quiete antica della campagna e il lento arrivo della modernitΓ . Era un tempo in cui la vita si misurava ancora con il ritmo delle stagioni, con le sagre di paese, le corse ciclistiche e le chiacchiere sotto gli alberi. Un tempo in cui il viale della stazione non era solo una strada, ma il cuore pulsante del paese. Quel viale, piantato di ippocastani imponenti allβindomani della battaglia di Montebello-Sorio del 1848, aveva unβaria solenne e rassicurante. Gli alberi, con le loro chiome folte e larghe, creavano un arco di ombra che diventava rifugio naturale per chiunque passasse di lΓ¬. Contadini, soldati, gitanti diretti a Monte Berico, zingari in transito con i loro carri variopinti: tutti trovavano un momento di sollievo sotto quelle fronde. La strada, in gran parte priva di copertura, era un forno in estate, ma quel tratto sembrava unβoasi.
Ogni giorno, gli anziani si davano appuntamento lΓ¬, camminando lentamente sotto la volta verde, commentando le notizie del giorno, osservando il viavai. I bambini correvano avanti e indietro, sfidando il caldo con le ginocchia sbucciate e gli occhi curiosi. A tratti, il silenzio veniva rotto dal passaggio di unβauto: le nuove FIAT in prova sfrecciavano con un rombo secco, attirando lβattenzione di tutti. Cβera chi si copriva le orecchie, chi salutava, chi restava immobile a fissare quei bolidi come fossero animali esotici appena scappati da un circo.
La stazione ferroviaria, alla fine del viale, era un altro punto di attrazione. Non era solo un luogo di partenza e arrivo, ma una finestra sul mondo. La gente si riuniva per vedere passare i treni a vapore, vere e proprie macchine vive che sbuffavano, fischiavano e facevano tremare i binari. Quando passava lβOrient Express, il paese tratteneva il fiato. Si diceva che portasse re, spie, artisti, donne velate di mistero. Qualcuno giurava di aver visto il re stesso, a bordo del treno reale, che transitava di tanto in tanto.
Ma il momento piΓΉ atteso dellβanno era quello della Mille Miglia. Quando arrivava il giorno della corsa, il viale si trasformava in unβarena. Migliaia di persone, provenienti dai paesi vicini, si accalcavano lungo la strada per assistere al passaggio dei corridori. Era uno dei tratti piΓΉ pericolosi del percorso, con due curve strette che mettevano alla prova anche i piΓΉ esperti. Le auto, lanciate a folle velocitΓ , affrontavano le curve con manovre millimetriche. Gli spettatori trattenevano il respiro, poi esplodevano in un boato quando il pilota riusciva a mantenere la traiettoria. Era unβemozione pura, quasi fisica.
Nel 1938, lβAmministrazione Comunale decise di spostare la Festa dellβUva proprio lungo quel viale. Fino ad allora, si era svolta nel centro del paese, ma lβatmosfera del viale offriva qualcosa di diverso. E fu un successo travolgente. I carri folcloristici sfilavano tra le fronde addobbate con bandiere e lanterne colorate. Di sera, tutto si accendeva di luci veneziane, trasformando il viale in una scenografia da fiaba. Sul piazzale della stazione, la banda suonava, si ballava fino a tardi, e i fuochi dβartificio dipingevano il cielo di colori impossibili. I giornali provinciali ne parlarono con entusiasmo. Montebello si fece conoscere per il suo vino, ma anche per il calore della sua gente.
Quando arrivava lβautunno, il viale cambiava volto. I marroni degli ippocastani cadevano a terra con un suono sordo e regolare, come una pioggia lenta. I bambini ne facevano scorte con sacchi e carrettini. Li portavano a casa per il fuoco, per scaldare i letti, per alimentare stufe e bracieri. Era un gioco, ma anche una necessitΓ . In quelle giornate fresche, il viale diventava un piccolo teatro: grida, risate, corse, e il rumore delle ruote di legno sul selciato.
Una figura che dava vita a molte di queste iniziative era il Commendator Cesare Fraccari. Milanese dβadozione, ma montebellano nel cuore, esercitava la professione di orafo, ma aveva il dono della generositΓ . Non si dimenticava mai del suo paese natale. Era lui a organizzare le grandi gare ciclistiche che attiravano campioni come Magni, Olmi e Bergamaschi. Anche il Giro dβItalia vi faceva tappa, e il paese intero si mobilitava. Cβera festa, musica, premi, cibo, e ancora fuochi dβartificio. Fraccari portava con sΓ© amici del Rotary Club, li presentava alla gente del posto, raccontava storie, creava legami. Era un uomo che sapeva unire mondi diversi con un sorriso e una stretta di mano.
E poi arrivΓ² lβestate del 1939. Era una sera come tante. Il sole stava calando e il cielo, allβorizzonte, cominciava a tingersi di rosso. Ma quel rosso era diverso. Non era il tramonto consueto, ma una luce intensa, irreale, come se il cielo stesso stesse andando a fuoco. In pochi minuti, la notizia si diffuse in paese. La gente uscΓ¬ di casa, chiamando amici e parenti, e si diresse verso il campo sportivo dietro la chiesa. LΓ¬, lo spettacolo era ancora piΓΉ evidente. Il cielo sembrava dipinto da un pittore impazzito: striature rosso sangue, venature violacee, bagliori improvvisi.
Si parlava sottovoce, quasi con timore. Qualcuno si faceva il segno della croce. Altri guardavano in alto come ipnotizzati. Fu allora che intervenne Monsignor Zanellato. SalΓ¬ su un muretto e spiegΓ² che si trattava di unβaurora boreale. Un fenomeno raro, ma naturale. La sua voce cercava di rassicurare, ma il dubbio era giΓ nellβaria.
I piΓΉ anziani ricordavano che, un tempo, simili fenomeni erano considerati presagi. Segni. Avvertimenti. βGuerraβ, sussurrΓ² qualcuno. βNo, no.β risposero altri, βil Duce ha garantito la pace. La conferenza di Monaco ha sistemato tutto.β Eppure, quel cielo sembrava raccontare unβaltra storia.
Poche settimane dopo, a settembre, la Germania invase la Polonia. La guerra cominciΓ². Unβaltra guerra. Una guerra che avrebbe cambiato tutto. Montebello, come il resto del mondo, fu trascinato nel vortice. I giovani partirono. Le feste si spensero. Il viale, che un tempo era pieno di voci e risate, si fece piΓΉ silenzioso.
Eppure, quella sera del 1939 restΓ² impressa nella memoria di chi cβera. Non solo per la bellezza del cielo, ma per la sensazione che qualcosa fosse finito. Che lβinnocenza del paese, quella fatta di corse in bicicletta, di marroni raccolti in autunno, di danze allβaperto, fosse stata, da quel momento, parte di unβaltra epoca.
Il viale degli ippocastani Γ¨ ancora lΓ¬. Gli alberi sono cresciuti ancora, qualcuno Γ¨ stato abbattuto, altri resistono. Le loro ombre continuano a proteggere il cammino di chi passa. Ma chi sa guardare bene, chi conosce la storia, puΓ² ancora percepire tra quelle fronde lβeco di un rombo lontano, il riflesso di una luce rossa, e il brivido muto di un presagio. UMBERTO RAVAGNANI
FOTO: MONTEBELLO: il Viale della Stazione. Cartolina postale del 1939.
BIBLIOGRAFIA: – L.Mistrorigo, A.Maggio, “Montebello Novecentoβ, Montebello Vicentino, 1997.
– V.Nori, “Montebello Vicentinoβ, Vicenza, 1988.
Umberto Ravagnani
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Una splendida descrizione di un periodo storico che Montebello sta vivendo ancora.