[423] RECLUTE E SOLDATI IN FUGA
In un precedente articolo Γ¨ stato raccontato un episodio avvenuto nel 1770 che dimostra quanto i giovani coscritti odiassero la leva militare della Repubblica di Venezia, a tal punto da darsi alla macchia durante il loro trasferimento verso le sedi dei reggimenti. Questa avversione per la divisa non mutΓ² nemmeno dopo la caduta della βSerenissimaβ e la successiva occupazione attuata nei primi anni dellβOttocento dai francesi comandati da Napoleone. Infatti, fin dallβinizio, lβintroduzione della leva obbligatoria da parte degli occupanti dβoltralpe, non garantΓ¬ il reclutamento di un sufficiente numero di soldati per la defezione di almeno un 30% di giovani. La lontananza dalla propria famiglia, lunga anche qualche anno, ed il pericolo che le giovani leve correvano in giro per lβEuropa impiegati nelle varie campagne militari che Napoleone intraprese, erano un deterrente che spesso li spinse a disertare. A proposito della pericolositΓ , un documento giacente presso lβArchivio Parrocchiale di Santa Maria di Montebello narra che un soldato montebellano morΓ¬ in Sassonia nella battaglia di Lipsia nel 1813 colpito da una palla di cannone. Per contro alcuni fortunati appartenenti alle famiglie piΓΉ abbienti evitarono il reclutamento dietro il pagamento di cospicue somme di denaro.
Le diserzioni piΓΉ consistenti avvennero, come sopra enunciato, principalmente lungo le grandi vie di comunicazione che portavano alle caserme, a volte con le rischiose complicitΓ delle popolazioni rurali che appoggiarono fattivamente la fuga sia delle reclute che dei soldati. Inoltre le amministrazioni locali non si preoccuparono piΓΉ di tanto di ricercarli al punto che molti fuggitivi tornarono indisturbati a lavorare nelle proprie case nei paesi di origine. In alcuni casi dei gruppi di disertori diedero vita a delle vere e proprie bande armate dedite al brigantaggio che terrorizzarono la popolazione.
Nel 1807, il palazzo dei conti Sangiovanni, nella contrada Borgolecco di Montebello, era da qualche anno sede di un manipolo di militari francesi appartenente alla Reale Gendarmeria. In questo luogo, nel mese di giugno di quellβanno si portarono il dottore chirurgo Giuseppe Tecchio e lo speziale del paese Bortolo Nardi per testimoniare e riconoscere il corpo senza vita di un coscritto destinato al 1Β° Reggimento Italiano di Fanteria Leggera. Questo sfortunato giovanotto, proveniente con un convoglio da Verona, aveva tentato la fuga, ma inutilmente poichΓ© i soldati di scorta non gli diedero scampo colpendolo mortalmente con alcune archibugiate.
I due testimoni montebellani sottoscrissero la seguente minuziosa descrizione del malcapitato: βun uomo dallβapparente anni etΓ di 22 anni, ciglia e capelli neri, occhi castani, naso ordinario, bocca proporzionata, mento tondo, barba nera, statura media. (Vestito) con una camicia di tela di canevo (canapa) tutta intrisa di sangue, giacchetta di tela di canevo blu, camisola di tela di canevo a righe rosse e bianche davanti e simili bianche e blu nella parte opposta, braghe di tela di canevo blu, calze di bombace bianco.
Un allegato esibito dalla MunicipalitΓ locale, datato 22 marzo 1807, firmato da don Luigi Ferrari priore e legalizzato dagli Amministratori Municipali: Artioli facente funzioni di Presidente, Carlo Vicenzi savio, Brighenti segretario della Comune di Quistelli, fa riconoscere lβinterfetto (lβucciso) individuo per Piero figlio di Lorenzo Gelati e di Annunziata Cantelle giugali (coniugi) abitanti in Quistelliβ. (Quistello in provincia di Mantova).
In un altro episodio accaduto verso la fine di agosto del 1811, Innocente Doria, Ufficiale dello Stato Civile di Montebello, fece una triste escursione in localitΓ Campagnola di Agugliana per riconoscere il corpo senza vita di tale Martino Zonato che il giorno precedente era spirato, βdellβetΓ di 21 anni, di professione disertoreβ.
In compagnia di Innocente Doria, il padre della vittima Santo con Gio.Batta un altro figlio ventiquattrenne, entrambi abitanti a Montebello, ma originari di Chiampo dove anche Martino era nato. Il documento consultato non fa menzione di come avesse cessato di vivere, se colpito dai gendarmi che gli avevano dato la caccia, o se in seguito a ferite o malattie contratte durante la latitanza.
Evidentemente il povero Martino, tornato a casa in licenza, non era piΓΉ rientrato nella sua caserma a Pavia rendendosi uccel di bosco sulle colline che conosceva bene e che considerava luogo sicuro. PerΓ², a differenza di altri fuggitivi non aveva trovato o non erano stati sufficienti i sostegni avuti da parte della locale popolazione rurale. Non Γ¨ da escludere che pure lui facesse parte di qualche nugolo di disertori dediti al saccheggio e questo spiegherebbe la mancata assistenza degli abitanti del luogo.
A proposito dei disertori, don Tullio Cavazza che fece il suo ingresso nella Chiesa parrocchiale di Selva-Agugliana il 16 gennaio 1921(era nato a Locara il 6 giugno 1879) copiΓ² alcune memorie trovate in canonica:
βnarrasi che essendosi resi latitanti molti disertori al principio del 19Β° secolo, ai quali non avea arriso il comando del Governo Francese di andare a farsi ammazzare per la gloria di Napoleone il Grande, e commettendo essi delle violenze verso la forza pubblica, Napoleone passando lungo la via Veronese da Montebello a S. Bonifacio, domandasse del nome del paese di Selva le cui abitazioni si veggono di lΓ benissimo. E avuto in risposta che era Selva, quasi spaventato lui stesso il vincitor di Marengo, dicesse frettolosamente: passa, passa!
La par cosa come ognun vede, inventata da qualche finitimo poco amante del paese, o dalla vana gloria di qualche uomoβ.
Ottorino Gianesato
IMMAGINE: La Campagnola all’Agugliana di Montebello (ricostruzione di fantasia Umberto Ravagnani).
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